Lorenzo da Ponte racconta come scrisse il libretto di Don Giovanni per Mozart

Ecco come Lorenzo da Ponte nelle sue Memorie racconta di come scrisse il libretto di Don Giovanni per Mozart; Mozart gli aveva lasciato libertà di scelta sul soggetto da trattare, e quando gli propose Don Giovanni, Mozart ne fu molto contento; nel frattempo, però, Da Ponte doveva lavorare anche ad altre due opere. Fu un periodo molto intenso per lui, ma riuscì a portare a termine in breve tempo tutti e tre i lavori.

Lorenzo da Ponte, ritratto
Lorenzo da Ponte, ritratto

Pensai però che tempo fosse di rianimare la vena poetica, che mi parea secca del tutto quando scrissi per Reghini, e Peticchio. Me ne prensentarono l’occasione i tre prelodati Maestri, Martini, Mozzart, e Salieri, che vennero tutti tre in una volta a chiedermi un dramma. Io gli amava, e stimava tutti tre, e da tutti tre sperava un riparo alle passate cadute e qualche incremento alla mia gloriuccia teatrale. Pensai se non fosse possibile di contentarli tutti tre, e di far tre opere a un tratto.

Salieri non mi domandava un dramma originale. Aveva scritto a Parigi la Musica all’ opera del Tarar, volta ridurla al carattere di dramma e musica italiana, e me ne domandava quindi una libera traduzione: Mozzart e Martini lasciavano a me interamente la scelta. Scelsi per lui il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli piacque, e L’ arbore di Diana pel Martini, a cui dar voleva un argomento gentile, adattabile a quelle sue dolcissime melodie, che si senton nell’ anima, ma che pochissimi sanno imitare. Trovati questi tre soggetti, andai dall’imperadore, gli esposi il mio pensiero e l’informai che mia intenzione era di far queste tre opere contemporaneamente. “Non ci riuscirete”, mi rispose egli! “Forse che no, replicai ; ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart e farò conto di legger l’ inferno di Dante—Scriverò la Mattina per Martini, e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri, e sarà il mio Tasso”. Trovò assai bello il mio parallello e appena tornato a casa mi posi a scrivere.

Andai al tavolino e vi rimasi dodici ore continue. Una bottiglietta di Toccai a destra, il calamajo nel mezzo, e una scatola di tabacco di Siviglia a sinistra. Una bella giovinetta di sedici anni, ch’ io avrei voluto non amare che come figlia, ma. . . stava in casa mia con sua Madre, ch’ aveva la cura della famiglia, e venia nella mia camera a suono di campanello, che per verità io suonava assai spesso, e singolarmente quando mi pareva che l’estro cominciasse a raffreddarsi: ella mi portava or un biscottino, or una tazza di Caffè, or niente altro che il suo bel viso, sempre gajo, sempre ridente, e fatto appunto per inspirare l’estro poetico e le idee spiritose. Io seguitai a studiar dodici ore ogni giorno, con brevi intermissioni, per due mesi continui, e per tutto questo spazio di tempo ella rimase nella stanza contigua, or con un libro in mano, ed ora coll’ago, o il ricamo, per esser pronta a venir da me al primo tocco del campanello. Mi si assideva tavolta vicino senza moversi, senza aprir bocca, né batter occhio, mi guardava fisso fisso, sorrideva blandissimamente, sospirava e qualche volta parea voler piangere: alle corte questa Fanciulla fu la mia Calliope per quelle tre opere e lo fu poscia per tutti i versi che scrissi per l’intero corso di altri sei anni. Da principio io le permettea molto sovente tali visite; dovei alfine renderle meno spesse, per non perdere troppo tempo in tenerezze amorose, di cui era perfetta maestra. La prima giornata frattanto tra il toccai, il tabacco di Siviglia, il caffè, il campanello, e la giovine Musa, ho scritte le due prime scene del Don Giovanni, altre due dell’ Arbore di Diana, e più di metà del primo atto del Tarar, titolo da me cambialo in Assur. Portai la mattina queste scene a tre Compositori, che appena volevan credere che fosse possibile, quello che cogli occhi proprj leggevano; e in 63 giorni le due prime opere erano finite del tutto, e quasi due terzi dell’ ultima. L’ albore di Diana fu la prima a rappresentarsi. Ebbe un incontro felicissimo, e pari almeno a quello della Cosa Rara.

[…]

Io non avea veduto a Praga la rappresentazione del D. Giovanni, ma Mozzart m’informò subito del suo incontro maraviglioso, e Guardassoni mi scrisse queste parole:
“Evviva Da Ponte, evviva Mozzart. Tutti gli Impresari, tutti i virtuosi devono benedirli. Finché essi vivranno non si
saprà mai che sia miseria teatrale”.
L’ Imperadore mi fece chiamare, e caricandomi di graziose espressioni di lode mi fece dono d’altri cento zecchini, e mi disse che bramava molto di vedere il Don Giovanni. Mozzart tornò, diede subito lo Spartito al Copista, che si affrettò a cavare le parti, perchè Giuseppe doveva partire. Andò in scena, .. e deggio dirlo? Il Don Giovanni non piacque! Tutti, salvo Mozzart, credettero che vi mancasse qualche cosa. Vi si fecero delle aggiunte, vi si cangiarono delle arie, si espose di nuovo sulle scene—E il D. Giovanni non piacque. E che ne disse l’Imperadore? “L’opera è divina: è forse forse più bella del Figaro, ma non è cibo pei denti de’ miei Viennesi”. Raccontai la cosa a Mozzart, il quale rispose senza turbarsi.—”Lasciam loro tempo da masticarlo”. Non s’ingannò. Procurai, per suo avviso, che l’opera si ripetesse sovente: ad ogni rappresentazione l’applauso cresceva e a poco a poco anche i Signori Viennesi da’ mali denti ne gustaron il sapore e ne intesero la bellezza, e posero il Don Giovanni tra le più belle opere che su alcun teatro drammatico si rappresentassero.

Da Memorie di Lorenzo Da Ponte da Ceneda, scritte da esso (pag. 99 e seguenti).

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Per saperne di più sul Don Giovanni:

Don Giovanni, scheda dell’opera: personaggi, libretto, trama, tutte le più belle arie, mp3 da scaricare, e tanto altro.

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