
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti.
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi.
Personaggi
- VIOLETTA VALÉRY (Soprano)
- FLORA BERVOIX (Mezzosoprano)
- ANNINA (Mezzosoprano)
- ALFREDO GERMONT (Tenore)
- GIORGIO GERMONT, suo padre (Baritono)
- GASTONE, Visconte di Letorières (Tenore)
- BARONE DOUPHOL (Baritono)
- MARCHESE D’OBIGNY (Basso)
- DOTTOR GRENVIL (Basso)
- GIUSEPPE, servo di Violetta (Tenore)
- DOMESTICO di Flora (Basso)
- COMMISSIONARIO (Basso)
CORO
Servi e signori amici di Violetta e Flora, Piccadori e mattadori, zingare, servi di Violetta e Flora, maschere
Luogo: Parigi e sue vicinanze.
Epoca: 1850 circa.
TRAMA: se preferisci leggere la trama dell’opera, vedi La Traviata, trama.
- Il primo atto succede in agosto
- il secondo in gennaio
- il terzo in febbraio.
Atto primo
Scena prima
Salotto in casa di Violetta. Nel fondo è la porta che mette ad altra sala; ve ne sono altre due laterali; a sinistra, un caminetto con sopra uno specchio. Nel mezzo è una tavola riccamente imbandita. Violetta, seduta sopra un divano, sta discorrendo col Dottore e con alcuni Amici, mentre altri vanno ad incontrare quelli che sopraggiungono, tra i quali sono il Barone e Flora al braccio del Marchese.
CORO I°
Dell’invito trascorsa è già l’ora…
voi tardaste…
CORO II°
Giocammo da Flora…
e giocando quell’ore volar.
VIOLETTA
(va loro incontro)
Flora, amici, la notte che resta
d’altre gioie qui fate brillar…
fra le tazze è più viva la festa…
FLORA E MARCHESE
E goder voi potrete?
VIOLETTA
Lo voglio;
al piacere m’affido, ed io soglio
col tal farmaco i mali sopir.
TUTTI
Sì, la vita s’addoppia al gioir.
Scena seconda
Detti, il Visconte Gastone de Letorières, Alfredo Germont; Servi affacendati intorno alla mensa.
GASTONE
In Alfredo Germont, o signora,
ecco un altro che molto vi onora;
pochi amici a lui simili sono…
VIOLETTA
(dà la mano ad Alfredo, che gliela bacia)
Mio visconte, mercé di tal dono.
MARCHESE
Caro Alfredo…
ALFREDO
Marchese… (si stringono la mano)
GASTONE (ad Alfredo)
T’ho detto:
l’amistà qui s’intreccia al diletto.
(i servi frattanto avranno imbandite le vivande)
VIOLETTA (ai servi)
Pronto è il tutto?…
(un servo accenna di sì)
Miei cari, sedete;
è al convito che s’apre ogni cor.
TUTTI
Ben diceste… le cure segrete
fuga sempre l’amico licor.
Siedono in modo che Violetta resti tra Alfredo e Gastone; di fronte vi sarà Flora tra il Marchese ed il Barone, gli altri siedono a piacere. V’ha un momento di silenzio; frattanto passano i piatti, e Violetta e Gastone parlano sottovoce tra loro, poi:
GASTONE (piano, a Violetta)
Sempre Alfredo a voi pensa.
VIOLETTA
Scherzate?
GASTONE
Egra foste, e ogni dì con affanno
qui volò, di voi chiese…
VIOLETTA
Nulla son io per lui…
GASTONE
Non v’inganno.
VIOLETTA (ad Alfredo)
Vero è dunque?… onde ciò?… No ‘l comprendo.
ALFREDO (sospirando)
Si, egli è ver.
VIOLETTA (ad Alfredo)
Le mie grazie vi rendo.
(al Barone)
Voi Barone non feste altrettanto…
BARONE
Vi conosco da un anno soltanto.
VIOLETTA
Ed ei solo da qualche minuto.
FLORA (piano al Barone)
Meglio fora se avesse taciuto.
BARONE (piano a Flora)
M’è increscioso quel giovin…
FLORA
Perché?
A me invece simpatico gli è.
GASTONE (ad Alfredo)
E tu dunque non apri più bocca?
MARCHESE (a Violetta)
È a madama che scuoterlo tocca…
VIOLETTA (mesce ad Alfredo)
Sarò l’Ebe che versa…
ALFREDO (con galanteria)
E ch’io bramo
immortal come quella.
TUTTI
Beviamo.
GASTONE
O barone, né un verso, un viva
troverete in quest’ora giuliva?…
(il Barone accenna che no)
GASTONE (ad Alfredo)
Dunque a te…
TUTTI
Sì, sì, un brindisi.
ALFREDO
L’estro non m’arride…
GASTONE
E non se’ tu maestro?
ALFREDO (a Violetta)
Vi fia grato?…
VIOLETTA
Sì.
ALFREDO (s’alza)
Sì?… L’ho già in cor.
MARCHESE
Dunque attenti…
TUTTI
Sì, attenti al cantor.
ALFREDO
Libiam ne’ lieti calici
che la bellezza infiora,
e la fuggevol ora
s’inebri a voluttà.
Libiam ne’ dolci fremiti
che suscita l’amore,
poiché quell’occhio al core
(indicando Violetta)
onnipotente va.
TUTTI
Libiamo; amor fra i calici
più caldi baci avrà.
VIOLETTA (s’alza)
Tra voi saprò dividere
il tempo mio giocondo;
tutto è follia nel mondo
ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
è il gaudio dell’amore;
è un fior che nasce e muore,
né più si può goder.
TUTTI
Godiam… la tazza e il cantico
le notti abbella e il riso;
in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
VIOLETTA (ad Alfredo)
La vita è nel tripudio…
ALFREDO (a Violetta)
Quando non s’ami ancora.
VIOLETTA (ad Alfredo)
No ‘l dite a chi lo ignora…
ALFREDO (a Violetta)
È il mio destin così.
TUTTI
Godiam… la tazza e il cantico
le notti abbella e il riso;
in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
S’ode musica dall’altra sala.
TUTTI
Che è ciò?
VIOLETTA
Non gradireste ora le danze?
TUTTI
Oh, il gentil pensier!… tutti accettiamo.
VIOLETTA
Usciamo dunque…
(s’avviano alla porta di mezzo, ma Violetta colta da subito pallore dice)
Oimè!…
TUTTI
Che avete?
VIOLETTA
Nulla, nulla.
TUTTI
Che mai v’arresta?
VIOLETTA
Usciamo…
(fa qualche passo, ma è obbligata a nuovamente fermarsi e sedere)
Oh dio!…
TUTTI
Ancora!…
ALFREDO
Voi soffrite!
TUTTI
O ciel!… ch’è questo!
VIOLETTA
Un tremito che provo… or là passate.
(indica l’altra sala)
Tra poco anch’io sarò…
TUTTI
Come bramate.
(tutti passano all’altra sala, meno Alfredo che resta indietro).
Scena terza
Violetta, Alfredo, e Gastone a tempo.
VIOLETTA (guardandosi allo specchio)
Oh qual pallor!…
(volgendosi, s’accorge d’Alfredo)
Voi qui!…
ALFREDO
Cessata è l’ansia che vi turbò?
VIOLETTA
Sto meglio.
ALFREDO
Ah, in cotal guisa v’ucciderete…
aver v’è d’uopo cura dell’esser vostro…
VIOLETTA
E lo potrei?
ALFREDO
Se mia foste, custode io veglierei
pe’ vostri soavi dì.
VIOLETTA
Che dite?… ha forse alcuno cura di me?
ALFREDO (con fuoco)
Perché nessuno al mondo v’ama…
VIOLETTA
Nessun?…
ALFREDO
Tranne sol io.
VIOLETTA (ridendo)
Gli è vero!…
Sì grande amor dimenticato avea…
ALFREDO
Ridete!… e in voi v’ha un core?…
VIOLETTA
Un cor?… Sì… forse… e a che lo richiedete?…
ALFREDO
Oh, se ciò fosse non potreste allora celiar…
VIOLETTA
Dite davvero?…
ALFREDO
Io non v’inganno.
VIOLETTA
Da molto è che mi amate?…
ALFREDO
Ah sì, da un anno.
Un dì, felice, eterea,
mi balenaste innante,
e da quel dì tremante
vissi d’ignoto amor.
Di quell’amor ch’è l’anima
dell’universo intero,
misterioso, altero,
croce e delizia al cor.
VIOLETTA
Ah, se ciò è ver, fuggitemi
solo amistade io v’offro:
amar non so, né soffro
di così eroico ardor.
Io sono franca, ingenua;
altra cercar dovete;
non arduo troverete
dimenticarmi allor.
GASTONE (si presenta sulla porta di mezzo)
Ebbene? Che diavol fate?
VIOLETTA
Si folleggiava…
GASTONE
Ah! ah!… Sta ben… restate.
(rientra)
VIOLETTA
Amor dunque non più… vi garba il patto?
ALFREDO
Io v’obbedisco… Parto.
(per andarsene)
VIOLETTA
A tal giungeste?
(si toglie un fiore dal seno)
Prendete questo fiore.
ALFREDO
Perché?…
VIOLETTA
Per riportarlo…
ALFREDO (tornando)
Quando?
VIOLETTA
Quando sarà appassito.
ALFREDO
Allor domani…
VIOLETTA
Ebbene; domani.
ALFREDO (prende con trasporto il fiore)
Io son felice!
VIOLETTA
D’amarmi dite ancora?
ALFREDO (per partire)
Oh, quanto v’amo!…
VIOLETTA
Partite?…
ALFREDO (torna a lei le bacia la mano)
Parto.
VIOLETTA
Addio.
ALFREDO
Di più non bramo.
(esce)
Scena quarta
Violetta, e tutti gli altri che tornano dalla sala riscaldati dalle danze.
TUTTI
Si ridesta in ciel l’aurora,
e n’è forza ripartir;
mercé a voi, gentil signora,
di sì splendido gioir.
La città di feste è piena,
volge il tempo dei piacer;
nel riposo ancor la lena
si ritempri per goder.
(partono alla destra)
Scena quinta
Violetta sola.
VIOLETTA
È strano!… è strano!… in core
scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per mia sventura un serio amore?…
Che risolvi, o turbata anima mia?…
Null’uom ancora t’accendeva… o gioia
ch’io non conobbi, essere amata amando!…
E sdegnarla poss’io
per l’aride follie del viver mio?
VIOLETTA
Ah, forse è lui che l’anima
solinga ne’ tumulti
godea sovente pingere
de’ suoi colori occulti!…
Lui che modesto e vigile
all’egre soglie ascese,
e nuova febbre accese,
destandomi all’amor.
A quell’amor ch’è palpito
dell’universo intero,
misterioso, altero,
croce e delizia al cor.
Follie!… follie!… delirio vano è questo!…
in quai sogni mi perdo,
povera donna, sola
abbandonata in questo
popoloso deserto
che appellano Parigi,
che spero or più?… che far degg’io?… Gioire,
di voluttà nei vortici finire.
Sempre libera degg’io
folleggiar di gioia in gioia,
vo’ che scorra il viver mio
pei sentieri del piacer,
nasca il giorno, o il giorno muoia,
sempre lieta ne’ ritrovi
a diletti sempre nuovi
dee volare il mio pensier.
ALFREDO (sotto al balcone)
Amore, amor è palpito…
VIOLETTA
Oh!
ALFREDO
…dell’universo intero …
VIOLETTA
Oh amore.
ALFREDO
Misterioso, misterioso, altero,
croce, croce e delizia,
croce e delizia, delizia al cor.
VIOLETTA
Follie! follie! Ah sì! Gioir, gioir!
Sempre libera degg’io
folleggiare di gioia in gioia,
vo’ che scorra il viver mio
pei sentieri del piacer.
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
sempre lieta ne’ ritrovi,
a diletti sempre nuovi,
dee volare il mio pensier.
Atto secondo
Scena prima
Casa di campagna presso Parigi. Salotto terreno. Nel fondo in faccia agli spettatori, è un camino, sopra il quale uno specchio ed un orologio, fra due porte chiuse da cristalli che mettono ad un giardino. Al primo piano, due altre porte, una di fronte all’altra. Sedie, tavolini, qualche libro, l’occorrente per scrivere. Alfredo entra in costume da caccia.
ALFREDO
Lunge da lei per me non v’ha diletto!…
Volaron già tre lune
dacché la mia Violetta
agi per me lasciò, dovizie, amori,
e le pompose feste,
ove, agli omaggi avvezza,
vedea schiavo ciascun di sua bellezza…
Ed or contenta in questi ameni luoghi
solo esiste per me… qui presso a lei
io rinascer mi sento,
e dal soffio d’amor rigenerato
scordo ne’ gaudii suoi tutto il passato.
ALFREDO (depone il fucile)
De’ miei bollenti spiriti
il giovanile ardore
ella temprò col placido
sorriso dell’amore!
Dal dì che disse: vivere
io voglio a te fedel,
dell’universo immemore
mi credo quasi in ciel.
Scena seconda
Detto ed Annina in arnese da viaggio.
ALFREDO
Annina, donde vieni?
ANNINA
Da Parigi.
ALFREDO
Chi te ‘l commise?
ANNINA
Fu la mia signora.
ALFREDO
Perché?
ANNINA
Per alienar cavalli, cocchi,
e quanto ancor possiede…
ALFREDO
Che mai sento!
ANNINA
Lo spendio è grande a viver qui solinghi.
ALFREDO
E tacevi?…
ANNINA
Mi fu il silenzio imposto.
ALFREDO
Imposto!… e v’abbisognan?…
ANNINA
Mille luigi.
ALFREDO
Or vanne… andrò a Parigi…
Questo colloquio ignori la signora…
Il tutto valgo a riparare ancora…
(Annina parte)
Scena terza
Alfredo solo.
ALFREDO
Oh mio rimorso! Oh infamia!…
e vissi in tale errore!…
ma il turpe sogno a frangere
il ver mi balenò.
Per poco in seno acquetati,
o grido dell’onore;
m’avrai securo vindice,
quest’onta laverò.
(esce)
Scena quarta
Violetta ch’entra con alcune carte, parlando con Annina, poi Giuseppe a tempo.
VIOLETTA
Alfredo?
ANNINA
Per Parigi or or partiva.
VIOLETTA
E tornerà?…
ANNINA
Pria che tramonti il giorno…
dirvel m’impose…
VIOLETTA
È strano!…
GIUSEPPE (presenta una lettera)
Per voi…
VIOLETTA (prende la lettera)
Sta bene… In breve
giungerà un uom d’affari… entri all’istante…
(Annina e Giuseppe escono)
Scena quinta
Violetta, quindi il signor Germont, introdotto da Giuseppe che avanzate due sedie, riparte.
VIOLETTA (legge la lettera)
Ah! ah!… scopriva Flora il mio ritiro!…
E m’invita a danzar per questa sera!…
Invan m’aspetterà…
(getta il foglio sul tavolino e siede)
GIUSEPPE
Giunse un signore.
VIOLETTA
(Ah! sarà lui che attendo…)
(accenna a Giuseppe d’introdurlo)
GERMONT
Madamigella Valéry?…
VIOLETTA
Son io.
GERMONT
D’Alfredo il padre in me vedete.
VIOLETTA (sorpresa gli accenna di sedere)
Voi!
GERMONT (sedendo)
Sì, dell’incauto che a rovina corre,
ammaliato da voi.
VIOLETTA (alzandosi risentita)
Donna son io, signore, ed in mia casa;
ch’io vi lasci assentite,
più per voi che per me.
(per uscire)
GERMONT
(Quai modi!) Pure…
VIOLETTA
Tratto in error voi foste…
(torna a sedere)
GERMONT
De’ suoi beni
dono vuol farvi…
VIOLETTA
Non l’osò finora; rifiuterei.
GERMONT (guardandosi intorno)
Pur tanto lusso…
VIOLETTA
A tutti è mistero quest’atto… a voi no ‘l sia.
(gli dà le carte)
GERMONT (dopo averle scorse coll’occhio)
D’ogni avere pensate dispogliarvi?
Ah, il passato perché, perché v’accusa!…
VIOLETTA
Più non esiste… or amo Alfredo,
e dio lo cancellò col pentimento mio.
GERMONT
Nobili sensi invero!…
VIOLETTA
Oh, come dolce mi suona il vostro accento!
GERMONT (alzandosi)
Ed a tai sensi un sacrifizio chieggo…
VIOLETTA (alzandosi)
Ah no… tacete…
terribil cosa chiedereste certo…
il previdi… v’attesi… era felice… troppo…
GERMONT
D’Alfredo il padre la sorte, l’avvenir domanda
or qui de’ suoi due figli.
VIOLETTA
Di due figli!…
GERMONT
Sì.
GERMONT
Pura siccome un angelo
iddio mi diè una figlia;
se Alfredo nega riedere
in seno alla famiglia,
l’amato e amante giovane,
cui sposa andar dovea,
or si ricusa al vincolo
che lieti ne rendea…
deh, non mutate in triboli
le rose dell’amor.
Ai preghi miei resistere
non voglia il vostro cor.
VIOLETTA
Ah, comprendo… dovrò per alcun tempo
da Alfredo allontanarmi…
doloroso fora per me… pur…
GERMONT
Non è ciò che chiedo…
VIOLETTA
Cielo… che più cercate? offersi assai!
GERMONT
Pur non basta.
VIOLETTA
Volete che per sempre
a lui rinunzi?…
GERMONT
È d’uopo!
VIOLETTA
No… giammai!
VIOLETTA
Non sapete quale affetto
vivo, immenso m’arda in petto?…
Che né amici, né parenti
io non conto tra’ viventi?…
E che Alfredo m’ha giurato
che in lui tutto io troverò?
Non sapete che colpita
d’altro morbo è la mia vita?
Che già presso il fin ne vedo?…
Ch’io mi separi da Alfredo?…
Ah, il supplizio è si spietato,
che morir preferirò.
GERMONT
È grave il sacrifizio,
ma pur tranquilla udite…
Bella voi siete e giovane…
col tempo…
VIOLETTA
Ah, più non dite
v’intendo… m’è impossibile…
lui solo amar vogl’io…
GERMONT
Sia pure… ma volubile sovente è l’uom…
VIOLETTA (colpita)
Gran dio!
GERMONT
Un dì, quando le veneri
il tempo avrà fugate,
fia presto il tedio a sorgere…
che sarà allor? Pensate…
Per voi non avran balsamo
i più soavi affetti;
poiché dal ciel non furono
tai nodi benedetti…
VIOLETTA
È vero!…
GERMONT
Ah, dunque sperdasi
tal sogno seduttore,
siate di mia famiglia
l’angiol consolatore…
Violetta, deh, pensateci,
ne siete in tempo ancor…
È dio che ispira, o giovine
tai detti a un genitor.
VIOLETTA
Così alla misera ~ ch’è un dì caduta,
di più risorgere ~ speranza è muta!…
se pur benefico ~ le indulga iddio,
l’uomo implacabile ~ per lei sarà…
(a Germont, piangendo)
Dite alla giovine ~ sì bella e pura
ch’avvi una vittima ~ della sventura,
cui resta un unico ~ raggio di bene…
che a lei il sacrifica ~ e che morrà!
GERMONT
Sì, piangi, o misera… ~ supremo, il veggo,
è il sacrifizio ~ ch’or io ti chieggo…
Sento nell’anima ~ già le tue pene…
coraggio e il nobile ~ cor vincerà.
Silenzio.
VIOLETTA
Or imponete.
GERMONT
Non amarlo ditegli.
VIOLETTA
No ‘l crederà.
GERMONT
Partite.
VIOLETTA
Seguirammi.
GERMONT
Allor…
VIOLETTA
Qual figlia m’abbracciate… forte così sarò.
(s’abbracciano)
VIOLETTA
Tra breve ei vi fia reso,
ma afflitto oltre ogni dire…
A suo conforto di colà volerete.
(indicandogli il giardino, va per scrivere)
GERMONT
Or che pensate?
VIOLETTA
Sapendol, v’opporreste al pensier mio.
GERMONT
Generosa!… e per voi che far poss’io?…
VIOLETTA (tornando a lui)
Morrò!… la mia memoria
non fia ch’ei maledica,
se le mie pene orribili
vi sia chi almen gli dica.
Conosca il sacrifizio
ch’io consumai d’amor
che sarà suo fin l’ultimo
sospiro del mio cor.
GERMONT
No, generosa, vivere,
e lieta voi dovrete;
mercé di queste lagrime
dal cielo un giorno avrete;
premiato il sacrifizio
sarà del vostro cor;
d’un opra così nobile
andrete fiera allor.
VIOLETTA
Qui giunge alcun, partite!…
GERMONT
Ah, grato v’è il cor mio!…
VIOLETTA
Non ci vedrem più forse…
(s’abbracciano)
VIOLETTA E GERMONT
Felice siate… Addio!…
(Germont esce per la porta del giardino)
Scena sesta
Violetta, poi Annina, quindi Alfredo.
VIOLETTA
Dammi tu forza, o cielo!…
Siede, scrive, poi suona il campanello.
ANNINA
Mi richiedeste?
VIOLETTA
Sì, reca tu stessa questo foglio…
(Annina ne guarda la direzione e se ne mostra sorpresa)
VIOLETTA
Silenzio… va’ all’istante.
(Annina parte)
VIOLETTA
Ed ora si scriva a lui…
che gli dirò?… Chi me n’ darà il coraggio!
(scrive e poi suggella) (entrando)
ALFREDO
Violetta che fai?…
VIOLETTA (nascondendo la lettera)
Nulla.
ALFREDO
Scrivevi?
VIOLETTA (confusa)
No… sì…
ALFREDO
Qual turbamento!… a chi scrivevi?…
VIOLETTA
A te…
ALFREDO
Dammi quel foglio.
VIOLETTA
No, per ora…
ALFREDO
Mi perdona… son io preoccupato.
VIOLETTA (alzandosi)
Che fu!…
ALFREDO
Giunse mio padre…
VIOLETTA
Lo vedesti?
ALFREDO
No, no, severo scritto mi lasciava…
ma verrà, t’amerà in vederti…
VIOLETTA (molto agitata)
Ch’ei qui non mi sorprenda…
lascia che m’allontani… tu lo calma…
(mal frena il pianto)
Ai piedi suoi mi getterò… divisi
ei più non ne vorrà… sarem felici…
perché tu m’ami, Alfredo, non è vero?…
ALFREDO
Oh, quanto!… perché piangi?…
VIOLETTA
Di lagrime avea d’uopo… or son tranquilla.
(sforzandosi)
Lo vedi? ti sorrido sarò là, tra quei fior
presso a te sempre…
Amami, Alfredo, quant’io t’amo… Addio.
(corre in giardino)
Scena settima
Alfredo, poi Giuseppe, indi un Commissionario a tempo.
ALFREDO
Ah, vive sol quel core all’amor mio!…
(siede, prende a caso un libro, legge alquanto, quindi si alza guarda l’ora sull’orologio sovrapposto al camino)
È tardi: ed oggi forse
più non verrà mio padre.
GIUSEPPE (entrando frettoloso)
La signora è partita…
l’attendeva un calesse, e sulla via
già corre di Parigi… Annina pure
prima di lei spariva.
ALFREDO
Il so, ti calma…
GIUSEPPE
(Che vuol dir ciò?)
(parte)
ALFREDO
Va forse d’ogni avere
ad affrettar la perdita… ma Annina la impedirà…
(si vede il padre attraversare in lontananza il giardino)
Qualcuno è nel giardino!…
Chi è là?
(per uscire)
COMMISSIONARIO (alla porta)
Il signor Germont?
ALFREDO
Son io.
COMMISSIONARIO
Una dama da un cocchio, per voi,
di qua non lunge mi diede questo scritto…
(dà una lettera ad Alfredo, ne riceve qualche
moneta e parte)
Scena ottava
Alfredo, poscia il signor Germont ch’entra in giardino.
ALFREDO
Di Violetta!… Perché son io commosso?…
A raggiungerla forse ella m’invita…
Io tremo!… Oh ciel!… Coraggio!…
(apre e legge)
«Alfredo, al giungervi di questo foglio»…
(come fulminato grida)
Ah!…
(volgendosi si trova a fronte del padre, nelle cui braccia si abbandona esclamando:)
Padre mio!
GERMONT
Mio figlio!…
Oh, quanto soffri… tergi, ah, tergi il pianto,
ritorna di tuo padre orgoglio e vanto.
Alfredo, disperato, siede presso il tavolino col volto
tra le mani.
GERMONT
Di Provenza il mar, il suol ~ chi dal cor
ti cancellò?
Al natio fulgente sol ~ qual destino ti furò?…
Oh, rammenta pur nel duol ~ ch’ivi gioia
a te brillò,
e che pace colà sol ~ su te splendere ancor può.
Dio mi guidò!
Ah! il tuo vecchio genitor ~ tu non sai quanto
soffrì!…
te lontano, di squallor ~ il suo tetto si coprì…
ma se alfin ti trovo ancor, ~ se in me speme
non fallì,
se la voce dell’onor ~ in te appien non ammutì.
Dio m’esaudì!
GERMONT (abbracciandolo)
Né rispondi d’un padre all’affetto?
ALFREDO
Mille serpi divoranmi il petto…
(respingendolo)
Mi lasciate…
GERMONT
Lasciarti!
ALFREDO (risoluto)
(Oh vendetta!)
GERMONT
Non più indugi; partiamo t’affretta.
ALFREDO
(Ah, fu Douphol!)
GERMONT
M’ascolti tu?
ALFREDO
No.
GERMONT
Dunque invano trovato t’avrò!
GERMONT
No, non udrai rimproveri;
copriam d’oblio il passato;
l’amor che m’ha guidato,
sa tutto perdonar.
Vieni, i tuoi cari in giubilo
con me rivedi ancora;
a chi penò finora
tal gioia non negar.
Un padre ed una suora
t’affretta a consolar.
ALFREDO (scuotendosi, getta a caso gli occhi sulla tavola, vede la lettera di Flora, la scorre ed esclama:)
Ah!… ell’è alla festa!… volisi
l’offesa a vendicar.
(fugge precipitoso seguìto dal padre)
Scena nona
Galleria nel palazzo di Flora, riccamente addobbata e illuminata. Una porta nel fondo e due laterali. A destra più avanti, un tavoliere, con quanto occorre pe ‘l giuoco; a sinistra, ricco tavolino con fiori e rinfreschi, varie sedie e un divano. Flora, il Marchese, il Dottore ed altri Invitati entrano dalla sinistra discorrendo fra loro.
FLORA
Avrem lieta di maschere la notte;
n’è duce il viscontino…
Violetta ed Alfredo anco invitai…
MARCHESE
La novità ignorate?…
Violetta e Germont sono disgiunti.
DOTTORE E FLORA
Fia vero?…
MARCHESE
Ella verrà qui col Barone.
DOTTORE
Li vidi ieri ancor… parean felici.
(s’ode rumore a destra)
FLORA
Silenzio… udite?…
TUTTI (vanno verso la destra)
Giungono gli amici.
Scena decima
Detti, e molte signore mascherate da Zingare, che entrano dalla destra.
ZINGARE
Noi siamo zingarelle
venute da lontano;
d’ognuno sulla mano
leggiamo l’avvenir.
Se consultiam le stelle
null’avvi a noi d’oscuro,
e i casi del futuro
possiamo altrui predir.
ZINGARE I.
Vediamo!… Voi, signora,
(prendono la mano a Flora e l’osservano)
rivali alquante avete…
ZINGARE II.
(fanno lo stesso al Marchese)
Marchese,
voi non siete model di fedeltà.
FLORA (al Marchese)
Fate il galante ancora?
Ben, vo’ me la paghiate…
MARCHESE (a Flora)
Che dianci vi pensate?…
L’accusa è falsità.
FLORA
La volpe lascia il pelo,
non abbandona il vizio
Marchese mio, giudizio,
o vi farò pentir.
TUTTI
Su via, si stenda un velo
sui fatti del passato;
già quel ch’è stato è stato,
badiamo all’avvenir.
(Flora ed il Marchese si stringono la mano)
Scena undicesima
Detti, Gastone ed altri amici mascherati da Mattadori, Piccadori spagnuoli, ch’entrano vivamente dalla destra.
GASTONE E MATTADORI
Di Madride noi siam mattadori,
siamo i prodi del circo de’ tori,
testé giunti a godere del chiasso
che a Parigi si fa pe ‘l bue grasso;
e una storia, se udire vorrete,
quali amanti noi siamo, saprete.
GLI ALTRI
Sì, sì, bravi, narrate, narrate,
con piacere l’udremo…
GASTONE E MATTADORI
Ascoltate.
GASTONE E MATTADORI
È Piquillo un bel gagliardo
biscaglino mattador:
forte il braccio, fiero il guardo,
delle giostre egli è signor.
D’andalusa giovinetta
follemente innamorò;
ma la bella ritrosetta
così al giovane parlò:
«Cinque tori in un sol giorno
vo’ vederti ad atterrar;
e, se vinci, al tuo ritorno
mano e cor ti vo’ donar.»
«Sì» gli disse, e il mattadore,
alle giostre mosse il piè;
cinque tori, vincitore
sull’arena egli stendé.
GLI ALTRI
Bravo invero il mattadore,
ben gagliardo si mostrò
se alla giovane l’amore
in tal guisa egli provò!
GASTONE E MATTADORI
Poi, tra plausi, ritornato
alla bella del suo cor,
colse il premio desïato
tra le braccia dell’amor.
GLI ALTRI
Con tai prove i mattadori
san le amanti conquistar!
GASTONE E MATTADORI
Ma qui son più miti i cori;
a noi basta folleggiar…
TUTTI
Sì, sì, allegri… Or pria tentiamo
della sorte il vario umor;
la palestra dischiudiamo
agli audaci giocator.
(gli uomini si tolgono la maschera, e chi passeggia e chi si accinge a giocare)
Scena dodicesima
Detti ed Alfredo, quindi Violetta col Barone. Un Servo a tempo.
TUTTI
Alfredo!… Voi!…
ALFREDO
Sì, amici…
FLORA
Violetta?
ALFREDO
Non ne so.
TUTTI
Ben disinvolto!… Bravo!… Or via, giocar si può.
(Gastone si pone a tagliare, Alfredo ed altri puntano)
(Violetta entra al braccio del Barone)
FLORA (andandole incontro)
Qui desïata giungi…
VIOLETTA
Cessi al cortese invito.
FLORA
Grata vi son, barone, d’averlo pur gradito.
BARONE (piano a Violetta)
Germont è qui!… il vedete!…
VIOLETTA (piano)
(Ciel! egli è vero.) Il vedo.
BARONE (cupo)
Da voi non un sol detto si volga
a questo Alfredo.
VIOLETTA
(Ah perché venni! Incauta… Pietà di me, gran dio!)
FLORA (a Violetta)
Meco t’assidi, narrami, quai novità vegg’io?…
Flora fa sedere Violetta presso di sé; il Dottore si avvicina ad esse, che sommessamente conversano. Il Marchese si trattiene a parte col Barone, Gastone taglia, Alfredo ed altri puntano, altri passeggiano.
ALFREDO
Un quattro!
GASTONE
Ancora hai vinto.
ALFREDO (punta e vince)
Sfortuna nell’amore
vale fortuna al gioco!…
TUTTI
È sempre vincitore!…
ALFREDO
Oh, vincerò stasera; e l’oro guadagnato
poscia a goder fra’ campi ritornerò beato.
FLORA
Solo?
ALFREDO
No, no, con tale che vi fu meco ancor,
poi mi sfuggìa…
VIOLETTA
(Mio dio!)
GASTONE (ad Alfredo indicando Violetta)
(Pietà di lei!)
BARONE (ad Alfredo, con mal frenata ira)
Signor!…
VIOLETTA (piano al Barone)
Frenatevi, o vi lascio.
ALFREDO (disinvolto)
Barone, m’appellaste?
BARONE
Siete in sì gran fortuna, che al gioco mi tentaste.
ALFREDO (ironico)
Sì?… la disfida accetto…
VIOLETTA
(Che fia?… morir mi sento.)
BARONE (puntando)
Cento luigi a destra…
ALFREDO (puntando)
Ed alla manca cento…
GASTONE
Un asse… un fante… hai vinto!…
BARONE
Il doppio?…
ALFREDO
Il doppio sia.
GASTONE (tagliando)
Un quattro… un sette…
TUTTI
Ancora!…
ALFREDO
Pur la vittoria è mia!
CORO
Bravo davver!
La sorte è tutta per Alfredo!
FLORA
Del villeggiar la spesa
farà il baron, già il vedo.
ALFREDO
Seguite pur.
SERVO
La cena è pronta.
FLORA
Andiamo.
CORO (Tutti partono.)
Andiamo.
VIOLETTA
(Che fia? morir mi sento!
Pietà, gran Dio, di me!)
ALFREDO (al Barone)
Se continuar v’aggrada –
BARONE
Per ora nol possiamo:
più tardi la rivincita.
ALFREDO
Al giuoco che vorrete.
BARONE
Seguiam gli amici; poscia –
ALFREDO
Sarò qual bramerete – Andiam.
BARONE
Andiam.
(Escono tutti dalla porta centrale; per un momento la scena rimane deserta. Poi Violetta rientra affannata.)
VIOLETTA
Invitato a qui seguirmi,
verrà desso? Vorrà udirmi?
Ei verrà, ché l’odio atroce
puote in lui più di mia voce.
ALFREDO
Mi chiamaste? Che bramate?
VIOLETTA
Questi luoghi abbandonate,
un periglio vi sovrasta…
ALFREDO
Ah, comprendo! Basta, basta.
E sì vile mi credete?
VIOLETTA
Ah no, no mai –
ALFREDO
Ma che temete?
VIOLETTA
Tremo sempre del barone.
ALFREDO
È fra noi mortal quistione –
s’ei cadrà per mano mia
un sol colpo vi torria
coll’amante il protettore.
V’atterrisce tal sciagura?
VIOLETTA
Ma s’ei fosse l’uccisore?
Ecco l’unica sventura
ch’io pavento a me fatale!
ALFREDO
La mia morte! Che ven cale?
VIOLETTA
Deh, partite, e sull’istante.
ALFREDO
Partirò, ma giura innante
che dovunque seguirai
i passi miei.
VIOLETTA
Ah, no, giammai.
ALFREDO
No! giammai?
VIOLETTA
Va’, sciagurato
scorda un nome ch’è infamato.
Va’ – mi lascia sul momento –
di fuggirti un giuramento sacro io feci.
ALFREDO
A chi? dillo – chi potea?
VIOLETTA
A chi dritto pien n’avea.
ALFREDO
Fu Douphol?
VIOLETTA
Sì.
ALFREDO
Dunque l’ami?
VIOLETTA
Ebben – l’amo –
ALFREDO
(corre furente sulla porta e grida:)
Or tutti a me.
(Tutti gli invitati, perplessi, ritornano nel salone.)
TUTTI
Ne appellaste? Che volete?
ALFREDO
(additando Violetta che abbattuta si appoggia al tavolino)
Questa donna conoscete?
TUTTI
Chi? Violetta?
ALFREDO
Che facesse non sapete?
VIOLETTA
Ah, taci.
TUTTI
No.
ALFREDO
Ogni suo aver tal femmina
per amor mio sperdea.
Io cieco, vile, misero,
tutto accettar potea.
Ma è tempo ancora! Tergermi
da tanta macchia bramo.
Qui testimon vi chiamo
che qui pagato io l’ho.
(Con furioso disprezzo, getta il borsellino ai piedi di Violetta. Violetta sviene nelle braccia di Flora. Mentre Alfredo proferisce le ultime parole, entra suo padre.)
TUTTI
Oh, infamia orribile tu commettesti!
Un cor sensibile così uccidesti!
Di donne ignobile insultatore,
di qui allontanati, ne desti orror!
Va’, va’, ne desti orror!
Di donne ignobile insultator, ecc.
GERMONT
Di sprezzo degno sé stesso rende
chi pur nell’ira la donna offende.
Dov’è mio figlio? Più non lo vedo:
in te più Alfredo trovar non so.
ALFREDO
Ah, sì – che feci! Ne sento orrore.
Gelosa smania, deluso amore
mi strazian l’alma; più non ragiono.
Da lei perdono più non avrò.
Volea fuggirla – non ho potuto!
Dall’ira spinto son qui venuto!
Or che lo sdegno ho disfogato,
me sciagurato! rimorso n’ho.
TUTTI (a Violetta)
Oh, quanto peni! Ma pur fa cor.
Qui soffre ognuno del tuo dolor;
fra cari amici qui sei soltanto;
rasciuga il pianto che t’inondò.
GERMONT (da sé)
Io sol fra tanti so qual virtude
di quella misera il sen racchiude.
Io so che l’ama, che gli è fedele,
eppur crudele tacer dovrò!
BARONE (piano, ad Alfredo)
A questa donna l’atroce insulto
qui tutti offese, ma non inulto
fia tanto oltraggio – provar vi voglio
che il vostro orgoglio fiaccar saprò.
ALFREDO (da sé)
Ohimé, che feci! Ne sento orrore, ecc.
Da lei perdono più non avrò.
VIOLETTA (riavendosi)
Alfredo, Alfredo, di questo core
non puoi comprendere tutto l’amore;
tu non conosci che fino a prezzo
del tuo disprezzo provato io l’ho!
TUTTI (a Violetta)
Quanto peni! fa cor!
ALFREDO
Ohimè! che feci! Ne sento orror!
VIOLETTA
Ma verrà tempo in che il saprai –
come t’amassi confesserai.
Dio dai rimorsi ti salvi allora, ah!
Io spenta ancora pur t’amerò.
ALFREDO
Ohimè! che feci! Ne sento orror!
BARONE
Provar vi voglio che tanto
orgoglio fiaccar saprò.
GERMONT
Io so che l’ama, che gli è fedele,
eppur crudele tacer dovrò!
TUTTI
Quanto peni! fa cor! ecc.
(Germont trae seco il figlio: il Barone lo segue. Violetta è condotta in altra stanza dal Dottore e da Flora; gli altri si disperdono.)
Atto Terzo
Preludio
Camera da letto di Violetta. Nel fondo c’è un letto con cortine mezzo tirate; una finestra chiusa da imposte interne; presso il letto uno sgabello su cui una bottiglia d’acqua, una tazza di cristallo, diverse medicine. A metà della scena una toilette, vicino un canapè; più distante un alto mobile su cui arde un lume da notte; varie sedie ed altri mobili. La porta è a sinistra; di fronte v’è un caminetto con fuoco acceso.
(Violetta dorme sul letto; Annina, seduta presso il caminetto, è pure addormentata.)
VIOLETTA
Annina?
ANNINA
Comandate?
VIOLETTA
Dormivi, poveretta?
ANNINA
Sì, perdonate.
VIOLETTA
Dammi d’acqua un sorso.
(Annina eseguisce.)
Osserva, è pieno il giorno?
ANNINA
Son sett’ore.
VIOLETTA
Dà accesso a un po’ di luce.
(Annina apre le imposte e guarda fuori nella strada.)
ANNINA
Il signor di Grenvil!
VIOLETTA
Oh, il vero amico!
Alzar mi vo’ – m’aita.
(Fa per alzarsi ma ricade; poi, sostenuta da Annina, va lenta verso il canapè. Il Dottore arriva in tempo a sostenerla. Annina porta dei cuscini e glieli mette dietro la testa.)
VIOLETTA
Quanta bontà!
pensaste a me per tempo!
DOTTORE (Le tocca il polso.)
Sì, come vi sentite?
VIOLETTA
Soffre il mio corpo.
Ma tranquilla ho l’alma.
Mi confortò ier sera un pio ministro.
Ah, religione è sollievo ai sofferenti.
DOTTORE
E questa notte?
VIOLETTA
Ebbi tranquillo il sonno.
DOTTORE
Coraggio adunque – la convalescenza
non è lontana.
VIOLETTA
Oh, la bugia pietosa
ai medici è concessa.
DOTTORE (Le stringe la mano.)
Addio – a più tardi.
VIOLETTA
Non mi scordate.
ANNINA
(Il Dottore parte; Annina lo accompagna; poi parlando presto e piano:)
Come va, signore?
DOTTORE
La tisi non le accorda che poche ore.
ANNINA
Or fate cor.
VIOLETTA
Giorno di festa è questo?
ANNINA
Tutta Parigi impazza – è carnevale!
VIOLETTA
Ah, nel comun tripudio, sallo Iddio
quanti infelici soffron! Quale somma
v’ha in quello stipo?
(indicandolo)
ANNINA (Apre e conta.)
Venti luigi.
VIOLETTA
Dieci ne reca a’ poveri tu stessa.
ANNINA
Poco rimanvi allora.
VIOLETTA
Oh, mi saran bastanti.
Cerca poscia mie lettere.
ANNINA
Ma voi?
VIOLETTA
Nulla occorrà – sollecita, se puoi.
(Annina parte.)
VIOLETTA
(trae dal seno una lettera.)
“Teneste la promessa – la disfida ebbe
luogo! Il Barone fu ferito però migliora.
Alfredo è in stranio suolo; il vostro
sacrifizio io stesso gli ho svelato; egli
a voi tornerà pel suo perdono; io pur verrò.
Curatevi – mertate un avvenir migliore. Giorgio
Germont.”
È tardi!
Attendo, attendo – né a me giungon mai!
(Si guarda nello specchio.)
Oh, come son mutata!
Ma il dottore a sperar pure m’esorta!
Ah, con tal morbo ogni speranza è morta.
Addio, del passato bei sogni ridenti,
le rose del volto già sono pallenti;
l’amore d’Alfredo perfino mi manca,
conforto, sostegno dell’anima stanca –
conforto, sostegno –
Ah, della traviata sorridi al desio;
a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio!
Ah! – Tutto, tutto finì, or tutto, tutto finì.
CORO DI MASCHERE (dall’esterno)
Largo al quadrupede sir della festa,
di fiori e pampini
cinta la testa.
Largo al più docile
d’ogni cornuto,
di corni e pifferi abbia il saluto.
Parigini, date passo,
al trionfo del Bue grasso.
L’Asia né l’Africa
vide il più bello,
vanto ed orgoglio d’ogni macello.
Allegre maschere, pazzi garzoni,
tutti plauditelo
con canti e suoni!
Parigini, date passo,
al trionfo del Bue grasso.
Largo al quadrupede sir della festa,
di fiori e pampini
cinta la testa.
(Annina rientra in fretta.)
ANNINA (esitando)
Signora!
VIOLETTA
Che t’accadde?
ANNINA
Quest’oggi, è vero, vi sentite meglio?
VIOLETTA
Sì, perché?
ANNINA
D’esser calma promettete?
VIOLETTA
Sì, che vuoi dirmi?
ANNINA
Prevenir vi volli –
un gioia improvvisa!
VIOLETTA
Una gioia! Dicesti?
ANNINA
Sì, o signora…
VIOLETTA
Alfredo! Ah, tu il vedesti?
Ei vien! T’affretta.
(Annina afferma col capo, poi va ad aprire la porta.)
Alfredo!
(Alfredo entra pallido dall’emozione e si gettano le braccia al collo.)
Amato Alfredo! Oh gioia!
ALFREDO
Oh mia Violetta. Oh gioia!
Colpevol sono – so tutto, o cara.
VIOLETTA
Io so che alfine reso mi sei!
ALFREDO
Da questo palpito s’io t’ami impara,
senza te esistere più non potrei.
VIOLETTA
Ah, s’anco in vita m’hai ritrovata,
credi che uccidere non può il dolor.
ALFREDO
Scorda l’affanno, donna adorata,
a me perdona e al genitor.
VIOLETTA
Ch’io ti perdoni? La rea son io;
ma solo amor tal mi rendè.
ALFREDO, VIOLETTA
Null’uomo o demon, angel mio,
mai più dividermi potrà da te.
ALFREDO
Parigi, o cara, noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo;
de’ corsi affanni compenso avrai,
la tua salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
tutto il futuro ne arriderà.
VIOLETTA (facendogli eco come in un sogno)
Parigi, o caro, noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo:
De’ corsi affanni compenso avrai.
La mia salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
tutto il futuro ne arriderà.
VIOLETTA
Ah, non più, a un tempio,
Alfredo, andiamo,
del tuo ritorno grazie rendiamo.
(Vacilla, come se per svenire.)
ALFREDO
Tu impallidisci!
VIOLETTA
È nulla, sai!
Gioia improvvisa non entra mai,
senza turbarlo, in mesto core.
(Violetta si abbandona sfinita sopra una sedia con la testa all’indietro.)
ALFREDO (spaventato, sorreggendola)
Gran Dio! Violetta!
VIOLETTA (sforzandosi)
È il mio malore,
fu debolezza! Ora son forte.
Vedi? Sorrido.
ALFREDO
Ahi, cruda sorte!
VIOLETTA
Fu nulla. Annina, dammi a vestire.
ALFREDO
Adesso? Attendi.
VIOLETTA
No – voglio uscire.
(Annina presenta a Violetta una veste che ella fa per indossare, ed impeditane dalla debolezza la getta a terra ed esclama con disperazione:)
Gran Dio! Non posso!
ALFREDO
(Cielo! Che vedo!)
(ad Annina)
Va’ pel dottore.
VIOLETTA
Ah! Digli che Alfredo
è ritornato all’amor mio.
Digli che vivere ancor vogl’io.
(Annina parte. Poi ad Alfredo:)
Ma se tornando non m’hai salvato,
a niuno in terra salvarmi è dato.
Ah! gran Dio! Morir sì giovine,
io che ho penato tanto!
Morir sì presso a tergere
il mio sì lungo pianto!
Ah, dunque fu delirio
la credula speranza;
invano di costanza
armato avrò il mio cor!
ALFREDO
Oh mio sospiro e palpito,
diletto del cor mio!
Le mie colle tue lagrime
confondere degg’io –
Ma più che mai, deh credilo,
m’è d’uopo di costanza.
Ah, tutto alla speranza
non chiudere il tuo cor.
Ah! Violetta mia, deh calmati,
m’uccide il tuo dolor!
VIOLETTA
Oh Alfredo! il crudo termine
serbato al nostro amor!
(Violetta si abbandona sul canapè. Entra Annina, seguita da Germont e dal Dottore.)
GERMONT
Ah, Violetta!
VIOLETTA
Voi, signor!
ALFREDO
Mio padre!
VIOLETTA
Non mi scordaste?
GERMONT
La promessa adempio.
A stringervi qual figlia vengo al seno,
o generosa!
VIOLETTA
Ahimè, tardi giungeste!
(Abbracciandolo.)
Pure, grata ven sono.
Grenvil, vedete? Fra le braccia io spiro
di quanti cari ho al mondo.
GERMONT
Che mai dite!
(Oh cielo – è ver!)
ALFREDO
La vedi, padre mio?
GERMONT
Di più non lacerarmi.
Troppo rimorso l’alma mi divora.
Quasi fulmin m’atterra ogni suo detto.
Oh, malcauto vegliardo!
Il mal ch’io feci ora sol vedo!
VIOLETTA
(Violetta apre un ripostiglio e ne toglie un medaglione e lo dà ad Alfredo.)
Più a me t’appressa.
Ascolta, amato Alfredo.
Prendi, quest’è l’immagine
de’ miei passati giorni;
a rammentarti torni
colei che sì t’amò.
ALFREDO
No, non morrai, non dirmelo –
Dei viver, amor mio.
A strazio sì terribil
qui non mi trasse Iddio.
GERMONT
Cara, sublime, sublime vittima
d’un disperato amore,
perdonami lo strazio
recato al tuo bel cor.
VIOLETTA
Se una pudica vergine
degli anni suoi sul fiore,
a te donasse il core –
sposa ti sia – lo vo’.
Le porgi quest’effigie;
dille che dono ell’è
di chi nel ciel tra gli angeli
prega per lei, per te.
GERMONT
Finchè avrà il ciglio lagrime
io piangerò per te.
Vola a’ beati spiriti,
Iddio ti chiama a sè.
ALFREDO
Sì presto, ah no, dividerti
morte non può da me.
Ah, vivi, o solo un feretro
m’accoglierà con te.
VIOLETTA (rianimata)
È strano!
Cessarono gli spasimi del dolore.
In me rinasce – m’agita insolito vigor!
Ah! ma io ritorno a viver!
Oh gioia!
(Ricade sul canapè.)
TUTTI
O cielo!… muor!…
ALFREDO
Violetta?…
ANNINA E GERMONT
Oh dio, soccorrasi…
DOTTORE (dopo averle toccato il polso)
È spenta!…
TUTTI
Oh mio dolor!
Per saperne di più sulla Traviata:
La traviata, scheda dell’opera: le più belle arie, mp3 da scaricare, curiosità e tanto altro.