Turandot, il fascino del mistero

Turandot è un’opera caratterizzata da forti contrasti, è evidente fin da subito; l’uso insistito di simboli enfatizza ancora di più questo aspetto. Ma Turandot, oltre ad essere l’opera dei contrasti, è anche l’opera del Mistero. Il Mistero è ovunque, ed è, a mio parere, il vero soggetto della rappresentazione. Lo si ritrova in mille sfaccettature diverse, e non smette mai di far meravigliare, interrogare e riflettere lo spettatore. Ci sono i misteri palesi, legati agli enigmi di Turandot, e poi all’enigma del nome di Calaf, il principe straniero; ma soprattutto c’è il mistero rappresentato dal personaggio stesso di Turandot, emblema del femminile; senza dimenticare il grande Mistero dell’Amore, e infine il Mistero dell’Altro, concetto fondamentale, anzi, da mettere al primo posto.

la principessa turandot, elaborazione grafica che sfrutta il simbolismo dei colori bianco e nero, opposti e alternati

Turandot e Calaf, il maschile e il femminile

A proposito di contrasti, basti pensare all’opposizione Turandot- Calaf, a cui sono collegati rispettivamente concetti, idee, sentimenti, simboli sempre in coppia: femminile-maschile, notte-giorno, luna-sole, freddezza-passione, morte-vita, odio-amore, tenebre-alba, buio-luce, gelo-calore, rifiuto-dono, intelletto-sentimento, ecc. La coppia Turandot-Calaf esprime la guerra dei sessi per buona parte dell’opera, finché, dopo un crescendo di tensione erotica, non interverrà l’amore a mostrare la via per una riappacificazione.

I colori e le immagini aiutano a enfatizzare questi aspetti: Gira la cote! si svolge al tramonto: tra le luci rosse del calar del sole la folla aizza il boia, eccitata dallo spettacolo del sangue; poi cala il buio, e la folla smorza i toni nell’invocazione alla luna, che mostra subito caratteristiche antropomorfe e una simbologia di morte che la ricollega a Turandot; Turandot è la luna: è bianca, lontana, fredda e distante; appare di notte e illumina tutto con la sua bellezza, ma è anche immagine di Morte.

“Chi quel gong percuoterà,
apparire la vedrà,
bianca al pari della giada,
fredda come quella spada
è la bella Turandot!”

“…Turandot!
La morte!…”

Calaf invece è il maschile, il sole, la Vita; è l’alba che sconfigge le tenebre, il calore che scioglie il cuore di ghiaccio di Turandot; è l’amore che vince e trionfa.  Puccini, nelle sue opere, aveva sempre dedicato più attenzione al trattamento dei personaggi femminili: loro sono protagoniste attorno a cui gravitano i personaggi maschili; nella sua ultima opera, invece, il personaggio maschile è molto forte, proprio perché è il portatore dell’amore che alla fine deve trionfare.

Turandot e Liù, due modelli del femminile

Oltre alla contrapposizione Turandot-Calaf, esiste anche quella tra Turandot e Liù, due immagini di femminilità diametralmente opposte. Turandot ne rappresenta gli aspetti distruttivi e imprevedibili: amare Turandot equivale ad andare incontro alla Morte. Terrorizzata da immagini violente e barbare dell’eros, rifiuta l’amore in maniera radicale, immaginando di potersi astrarre totalmente in un mondo superiore, più puro, dove non esiste il corpo, ma solo la mente e l’anima. La Turandot di Puccini è senz’altro un personaggio più ‘dark’ e più criptico delle Turandot letterarie a cui è ispirata. Indecifrabile sia nel suo silenzio sia nelle sue parole, è proprio attraverso la musica che possiamo capirne la psicologia così complessa; la musica esprime meglio di qualsiasi parola i moti del suo animo così variabili e intensi. È proprio la musica che la rende umana, altrimenti rischierebbe di apparire soltanto come un mostro assassino.

Liù, invece, è un’umile schiava, piccola e debole, specialmente in confronto ad un personaggio come Turandot. Liù è la poesia dell’amore nella sua forma più pura: dona la sua vita perché l’uomo che ama possa amare non lei, ma un’altra donna. Liù prima di morire parla a Turandot come se si rivolgesse ad una sua pari: le distanze sociali e anche caratteriali sono come annullate; per pochi istanti Liù sovrasta Turandot, perché ha una coscienza e una conoscenza superiore che le viene proprio dall’Amore, quella cosa che ancora Turandot non conosce, e non vuole conoscere. Liù, nata per essere debole e sottomessa, in realtà è un personaggio femminile forte e coerente, mentre Turandot, in apparenza così granitica, è un personaggio femminile debole e disequilibrato, almeno fino al momento in cui non riuscirà ad accogliere in sé l’amore.

Calaf e l’Amore

Calaf è proprio l’emblema dell’Amore nelle sue varie sfaccettature: amore sensuale, desiderio, compassione, comprensione, accoglienza, consolazione, generosità, dono totale di sé: non dimentichiamo che, alla fine, quando ormai l’alba sorge e la vittoria è sua, decide di rivelare a Turandot il suo nome; in questo modo mette la sua vita nelle sue mani, con il grosso rischio di perderla. È davvero una follia, ma questo mette il luce quanto poco conti la vittoria se manca l‘Amore. E l’Amore è Mistero, inspiegabile.

“Ma il mio mistero è chiuso in me,
il nome mio nessun saprà!”

Nemmeno Calaf è un personaggio granitico: fino alla fine, la sicurezza della vittoria si alterna a momenti in cui ‘sbianca dalla paura’, (come non si risparmia di sottolineare perfidamente Turandot); tuttavia va avanti lo stesso, e ha la saggezza di sfruttare il vantaggio del tempo. Calaf, oltre ad essere la persona giusta, sa sfruttare il tempo per riuscire, per quanto gli è possibile, a far maturare in Turandot un nuovo ordine di idee, in cui l’amore e la vita finalmente hanno la meglio sull’odio e sulla morte. Ecco la chiave della sua vittoria. Lo vediamo superare gli enigmi facendo affidamento più sui suoi sentimenti che sull’intelletto, la memoria, o il ragionamento. I suoi sentimenti lo guidano sempre nella giusta direzione. Questo alla fine lo capirà anche Turandot (anche grazie al sacrificio di Liù): l’amore non è una debolezza, ma una grande forza, e anche una via di conoscenza.

Il mistero del finale

Come può Calaf amare ancora così ardentemente Turandot, quando la terra è ancora macchiata dal sangue purissimo di Liù? Questa è una cosa difficile da accettare, e ci porta all’altro grande Mistero di Turandot: il suo finale. Quel finale che Puccini non poté terminare di suo pugno, e che fu invece completato da Alfano. Il finale doveva essere il momento clou della rappresentazione, secondo le intenzioni dello stesso Puccini. Non era facile, però, voltare pagina così repentinamente: passare dalla tragica morte di Liù ad una celebrazione dell’amore come redenzione, completezza, felicità. Purtroppo non si potrà mai sapere come Puccini avrebbe risolto questa impasse; questo resterà veramente un mistero per sempre.

Altre letture:

Per approfondire, consiglio di leggere questi due bellissimi articoli del blog ‘Opera Omnia’:

Altre curiosità e approfondimenti:

Per saperne di più su Turandot:

Turandot, scheda dell’opera: personaggi, libretto, trama, tutte le più belle arie, mp3 da scaricare, e tanto altro.

Immagine: elaborazione grafica a partire da un bozzetto di Umberto Brunelleschi.

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